domenica 15 novembre 2009

Processo breve, maggioranza in tilt Stragi '93, l'indagine che agita il premier


C’è una data a cui palazzo Chigi guarda con apprensione: quando la Corte d’Appello di Palermo sentirà il superpentito Gaspare Spatuzza nel processo al senatore Marcello Dell’Utri già condannato a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. E c’è anche una procura a cui sempre palazzo Chigi guarda con attenzione: quella di Firenze che ha riaperto l’inchiesta sui mandanti occulti e sul livello politico delle stragi di Cosa Nostra nel continente (10 morti, 106 feriti, nel 1993 tra Firenze, Roma, Milano). Un’inchiesta «riaperta» esattamente dal punto dove era stata archiviata il 16 novembre 1998 quando il gip Giuseppe Soresina scrisse che «è altamente plausibile che i soggetti protetti nel registro mod.21 con le denominazioni Autore 1 e Autore 2 abbiano concorso moralmente all’azione stragista del soggetto Cosa Nostra» ma che «non erano stati reperiti elementi validi per il dibattimento». Un’inchiesta, coordinata dal procuratore Giuseppe Quattrocchi e dai sostituti Giuseppe Nicolosi e Alessandro Crini, che adesso sembra aver completato quel quadro probatorio grazie, e non solo, alle dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza. Viene definita «un’indagine semplice nel senso criminale del termine», che non va, cioè, «ad inseguire teoremi» e che «avrà tempi relativamente brevi».

«Il problema di Berlusconi non è nè Mills nè Mediaset, dicono i bene informati della maggioranza. Il problema è «Firenze», o Palermo, oppure Caltanissetta. Il problema riguarda un ipotetico coinvolgimento del Presidente del Consiglio, insieme con Marcello Dell’Utri nelle inchieste su Cosa Nostra e sulle sue connessioni politiche. Un problema, per cui si capisce meglio anche certa fretta nel Pdl per ripristinare l’immunità parlamentare.

La storia dell’inchiesta sui mandanti a volto coperto andrebbe raccontata dall’inizio, a cominciare dal pm, Gabriele Chelazzi (morto nel 2003) che con Vigna, allora procuratore, e Nicolosi cercò di dare ordine a una serie di «input investigativi» diventati ben presto «plausibile ipotesi investigativa». Occorre però partire dalla fine. Che sono le dichiarazioni, solo in piccola parte note, di Spatuzza, braccio destro dei fratelli Graviano, capi mandamento di Brancaccio, tra gli esecutori della strage di via D’Amelio e di quelle in continente. Spatuzza sedeva alla destra del padre, inteso come i fratelli Graviano a cui Riina e Provenzano avevano ordinato la strategia del terrore tra il ‘92 e il ‘93. Un ruolo che lo pone per forza di cose a conoscenza di tutti i segreti di Cosa Nostra, «in quel perido, tra la fine del ‘92 e i primi mesi del ‘94».

C’è un suo verbale raccolto dai pm fiorentini (titolari del collaboratore di giustizia) che dice chiaramente chi sono i referenti politici con cui la mafia avrebbe trattato e come. In un altro verbale rilasciato a Palermo il 6 ottobre si leggono i nomi di «Silvio Berlusconi, quello di Canale 5 e Marcello Dell’Utri». A Spatuzza ne parla Giuseppe Graviano, all’indomani della strage di Firenze (maggio 1993): «Si tratta di politica, c’è in atto una situazione che se va a buon fine ne avremo tutti i benefici, sia i carcerati che gli altri». E poi di nuovo a metà gennaio 1994, seduti al bar Doney di via Veneto: «Abbiamo il paese in mano» disse Graviano a Spatuzza, grazie all’interessamento «di persone di fiducia, Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri» che da qualche mese stava organizzando la discesa in campo del Cavaliere con Forza Italia. Dopo pochi mesi i fratelli Graviano furono arrestati a Milano. Spatuzza molto dopo, nel 1997. Fatto sta che della strage allo Stadio Olimpico, ennesima e finale prova di forza per siglare la trattativa tra politica e Cosa Nostra e già saltata nel dicembre 1993 per un difetto nell’innesco, non se ne seppe più nulla.

Questo e molto altro («è un’indagine piena di riscontri») ha detto Spatuzza che si è pentito meno di un anno fa. Per gli investigatori fiorentini è l’anello mancante della vecchia indagine archiviata. Già allora avevano parlato, si legge nella richiesta di archiviazione del 1998, «Pietro Romeo che aveva quasi indicato il livello del concorso morale». E poi Ciaramitano, Pennino, Cancemi, per un totale di 23 collaboratori. Le cui dichiarazioni, tutte insieme, già nel 1998 dicevano: 1)«Cosa Nostra nell’intraprendere la campagna di strage ha agito di concerto con soggetti esterni»; 2)«Tra il soggetto politico-imprenditoriale di cui AutoreUno e AutoreDue, indicati come concorrenti del reato, e Cosa Nostra il rapporto è effettivamente sussistente e non episodicamente limitato»; 3)«La natura del rapporto era compatibile con l’accordo criminale». Quello che allora non fu del tutto possibile dimostrare è che «il soggetto politico imprenditoriale aveva sostenuto le aspettative di ordine politico (meno pressione giudiziaria sulla mafia, ndr) per il perseguimento delle quali la campagna di strage è stata deliberata e realizzata». Era la parte mancante. Adesso, forse, trovata. E riscontrata.

Fonte: Unità

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